13/04/12

Kooly Noody


PURGHE VERDI

Fuori la Mauro e il tesoriere Belsito, Renzo Bossi resta. 
La resa dei conti al congresso di fine giugno
di Fabrizio d’Esposito e Davide Vecchi
 
Anche le purghe hanno due pesi e due misure. Rosi Mauro cacciata dalla Lega, il Trota no. Ieri in via Bellerio a Milano, dove c’è la sede della Lega, hanno chiuso persino le finestre. È successo poco dopo l’arrivo, a sorpresa, della Grande Accusata Rosi Mauro, scortata dal solito Pier Mosca. Alle quattro e diciotto del pomeriggio. La riunione del consiglio federale è iniziata dieci minuti dopo. La badante-zarina del cerchio magico si è difesa con forza e urla. Di qui la direttiva di serrare le imposte. Un lunghissimo monologo per proclamarsi ancora una volta innocente. Nessun passo indietro, niente dimissioni da vicepresidente del Senato. Orgoglio ma anche disperazione: “Dove vado, che fine faccio? Non potete trattarmi così”. A Milano, la sindacalista padana Mauro, semplice uditrice senza diritto di voto, si è presentata inaspettata e accompagnata da voci su un presunto patto con il Senatùr: dimissioni da Palazzo Madama (ma non dal seggio) in cambio di un’espulsione temporanea (tre mesi) dal partito e della ricandidatura alle prossime politiche.
Non è andata così. Non poteva andare così. I barbari sognanti di Roberto Maroni hanno trasformato il consiglio federale nella resa dei conti che desideravano da mesi. E neanche le dimissioni della badante da vicepresidente del Senato avrebbero placato la sete di vendetta dei maroniti. Anzi. È stato chiaro quando ha preso la parola Gianluca Pini, segretario “nazionale” dell’Emilia Romagna: “Noi non vogliamo le tue dimissioni perché vogliamo che te ne vada”. Stesso tono, stesse parole per Maurizio Fugatti, a capo della Lega Trentino. A quel punto è intervenuto Umberto Bossi, supplicante: “Rosi, dimettiti per favore”. E Maroni, contro ogni mediazione: “Le dimissioni non sono abbastanza, dobbiamo cancellarla. O io o lei qui dentro”.
Al momento di votare, il Senatùr è uscito dalla sala, insieme con Marco Reguzzoni, altro anello dell’ex cerchio magico, e Francesco Speroni (che di Reguzzoni è suocero). Maroni li ha raggiunti e avrebbe spiegato meglio il suo ultimatum, In pratica, Bossi si sarebbe fatto convincere del sacrificio della Mauro temendo forse un’ulteriore reazione contro il figlio Renzo, già dimessosi dal consiglio regionale della Lombardia. Risultato: purga votata all’unanimità secondo il copione sovietico caratteristico della Lega. Recita la parte finale del comunicato ufficiale: “Preso atto della decisione della senatrice Mauro, il Consiglio Federale all’unanimità ha decretato l’espulsione dal movimento della stessa senatrice Mauro, ritenendo inaccettabile la sua scelta di non obbedire ad un preciso ordine impartito dal Presidente Federale e dal Consiglio Federale”. Via la Mauro. Via anche il famigerato Francesco Belsito, l’ex tesoriere. In compenso, dall’epurazione si salvano Renzo Bossi e pure Roberto Calderoli, triumviro leghista al centro di nuovi accertamenti della magistratura.
Prima di andare via, Rosi Mauro è entrata nell’ufficio di Bossi. Altro colloquio tra i due. All’uscita, ha smentito la richiesta di dimissioni da parte del Senatùr. Poi: “Credo che abbiano voluto un capro espiatorio. Mi sono tolta un peso dal cuore, non riuscivo a stare nell’ambiguità e nell’ipocrisia. Sulla presunta unità ha prevalso il ricatto politico”. Evidente il riferimento alle minacce di Maroni (“o io o lei”). Quanto al futuro da vicepresidente del Senato, da mina vagante fuori controllo: “Un passo alla volta. Non mi sono dimessa perché tutta questa operazione non mi convince, voglio vederci chiaro. Indietreggiare vuol dire che non c’è la verità”.
La grande vittoria di Maroni (due settimane fa, prima dello scandalo, confidò ad alcuni parlamentari di centrosinistra: “Aspetto solo il giorno che la Lega mi cada tra le braccia, come una mela matura”), però non si limita all’espulsione di Rosi Mauro. Il consiglio federale ha infatti deciso, sempre dopo la canonica “lunga discussione”, di celebrare il congresso alla fine di giugno a Milano. Un evento atteso da dieci
anni. L’ultimo, appunto, nel 2002. Da allora, niente più. Nemmeno dopo l’ictus del Capo, nel 2004. Con Bossi malato, il partito prima è stato retto dalla diarchia Calderoli-Maroni, poi dal cerchio magico “presieduto ” dalla moglie del Senatùr, Manuela Marrone. Adesso la scelta di tenerlo. Ovviamente, l’ex ministro dell’Interno appare il candidato naturale alla successione e non si esclude una soluzione per “riabilitare Umberto” con Maroni segretario e Bossi presidente. In questi giorni gli equilibri del movimento stanno subendo una profonda mutazione, a favore dei barbari sognanti. E al Senatùr più che dimezzato non resta che una promessa. Fatta davanti al consiglio federale: “Rimborserò con un assegno i soldi presi dalla mia famiglia”.

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