12/04/12

Il Padano e quel guscio (rotto) di tartaruga



E poi, dopo il turbine di quel discorso, dopo le grida, gli urli, le luci, le cornamuse, le scope, i barbari che sognano, che insultano e che adesso gridano anche contro di lui. E poi, dopo l’ultimo bagno di folla, il senso di quella febbre malarica che lo avvolge e non lo lascia: il popolo dei volti attenti, parlare da un palco, l’adrenalina che ti si infila anche nel corpo segnato dalla malattia e ti fa provare un brivido freddo. La vita per chi campa di politica è questo, anche quando ti fischiano.

E poi, l’emozione. Quando dice quella frase, a lungo rimuginata: “Chiedo scusa, ho rovinato i miei figli…”. Subito dopo gli viene da piangere, adesso sta pensando a lui. Così deve riavvolgere il nastro, capire quando tutto questo è iniziato. Il giorno dell’ictus: prima la vita a cento all’ora, senza fermarsi mai. E poi il buio. Oppure: il giorno in cui si è svegliato nella clinica con quel camice verde, mezzo corpo che non si muove più e tutto ha iniziato ad andare al rallentatore? Svegliarsi significa aggrapparsi a quello che ti è rimasto intorno. E poi il tartarughino. Prima che tutto questo accadesse, prima dell’ictus e della resurrezione, non l’aveva mai visto. Un giorno, quando era tornato a casa il suo figlio più piccolo gli aveva raccontato, con il sorriso dei bambini curiosi e felici di tutto: “Lo sai papà, che in giardino c’è una tartaruga che si è spezzata il guscio ma che è sopravvissuta? Un miracolo. Ieri l’ho vista camminare”.

In quel tempo lui ancora rideva.... / (Luca Telese)

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