30/12/11

Ma quale Tiffany!



Terun? No mona / Beppe Giulietti

“Terun, Terun…” così Bossi ha apostrofato Napolitano, non contento ha fatto pure il gesto delle corna, per fortuna non è arrivato a mettere le mani sui genitali, forse non ha voluto esaurire subito tutte le argomentazioni teoriche… Naturalmente anche questa esibizione potrebbe essere liquidata con poche battute contrapponendo all’urlo celtico “Terun” il più classico inno veneziano: “Mona“. Come mai Bossi e Calderoli non fecero le corna e non urlarono “Terun Terun” quando Cosentino fu nominato sottosegretario?
In realtá gli assalti delle camice verdi, per ora solo verbali, hanno il solo scopo di tenere buona la base e di far dimenticare che, in questo ventennio, la Lega è il partito che è stato più a lungo al governo, occupando poltrone e seggiole di ogni tipo. Come se non bastasse la Lega ha bisogno di cancellare dalla memoria individuale e collettiva di aver svolto il ruolo del palo in tutte, ma proprio tutte, le peggiori imprese ideate e concluse dalla banda Berlusconi.

Sia come sia, ed anche al di là delle ingiurie rivolte a Napolitano, restano le minacce sulla futura secessione. Si tratta di un progetto eversivo, fuori dalla Costituzione, e per di più da perseguire, per usare le parole di Bossi “con ogni mezzo”. Cosa sarebbe mai accaduto se le stesse parole fossero state strillate durante una manifestazione del Popolo viola o di chiunque altro? Perchè si continuano a derubricar le minacce leghiste in “folklore padano”? La Costituzione vale solo per alcuni, esiste forse una lista degli esentati?

I leghisti hanno infine annunciato che, il 31 sera, non guarderanno in tv il discorso di fine anno di Napolitano, e su questo nulla dire, perchè ognuno è libero di guardare o non guardare quello che gli pare. Se possiamo permetterci di dare loro un consiglio  televisivo potrebbero invece riguardare le registrazioni di quella “deliziosa” seduta della Camera quando le guardie padane in Parlamento si alzarono compatte per difendere un povero vecchio presidente del consiglio costretto ad alzarsi con il catetere in mano, nel cuore della notte per salvare dal carcere la giovane nipote di Mubarak.

Altro che Padania libera!


2012: cominciamo bene!


27/12/11

Facile demagogia



Berlusconi, le tasse e la facile demagogia


Che la manovra Monti alzi le tasse è fuor di dubbio. Ma che l’ex maggioranza di destra e il suo stesso leader gridino oggi allo scandalo ventilando rivolte fiscali un giorno sì e uno no, è semplicemente paradossale. La pressione fiscale è costantemente aumentata durante il governo Berlusconi fino al 45 per cento del Pil, come ha recentemente confermato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. In particolare, come era ampiamente prevedibile, l’esordio del federalismo fiscale si è tradotto in una nuova dolorosa sventagliata di tasse locali.  E non è tutto, perché prima della scorsa estate il ministro Tremonti ha compiuto il suo capolavoro: aumentare ancora il peso del fisco scaricandone la responsabilità sui successivi governi, cioè facendo scattare le nuove tasse a scoppio ritardato. Così è stato messo in conto un taglio in due tranche di tutte le detrazioni e deduzioni tributarie, che avrebbe elevato a regime (cioè nel 2014) l’onere fiscale del 20%. Manovra che poi nel corso dell’estate è stata anticipata di un anno. Il problema è che tra le agevolazioni tagliate non c’erano solo sconti più o meno ingiustificati, come quelli sulle spese veterinarie o sul costo delle palestre. C’erano le detrazioni per carichi familiari, le detrazioni per lavoro dipendente nonché l’esenzione Irpef sulla prima casa. 

Insomma l’insieme di quegli sgravi basilari destinati a dare progressività e quindi equità al nostro sistema fiscale. Dunque, più tasse per le famiglie con figli, alla faccia dei tanto sbandierati impegni ad aiutare i nuclei più numerosi. E reintroduzione dell’Irpef sulla prima casa, ben più dolorosa dell’Ici. Questo è quello che si accingeva a fare il governo Berlusconi, anzi quello che aveva già contabilizzato in Finanziaria, impegnandosi anche con Bruxelles. Una manovra contro i ceti medi e medio-bassi, tanto più scandalosa in quanto arrivata dopo una serie di regali generosamente offerti ai più ricchi: condono per gli esportatori di capitali con minimi costi e garanzia dell’anonimato; taglio delle tasse per i proprietari di seconde e terze case, grazie alla cedolare secca; Ici esente anche per i più abbienti. Appena arrivato al governo, Mario Monti ha scardinato quella manovra contro i ceti medi e, pur aumentando il carico fiscale generale, lo ha distribuito tassando anche dieci volte di più i contribuenti più benestanti. Questa è la storia, e sarà bene qualcuno la ricordi a quanti oggi (speriamo pochi) si lasciano di nuovo aizzare dalla demagogia di Berlusconi e della Lega.  (Marco Ruffolo)


25/12/11

Caro Monti


Caro Monti, è uno schifo / Antonio Padellaro



Caro presidente Monti, sappiamo che le lettere aperte ai potenti, in genere, finiscono nei cestini dei suddetti potenti troppo presi dai grandi affari di Stato per dare retta a giornalistici piagnistei.
Ma se ci permettiamo di importunarla è perché nella memorabile conferenza stampa sulla manovra (quella che passerà alla storia più per le lacrime della ministra Fornero che per il sangue spillato a contribuenti e pensionati), Lei annunciò immediati tagli ai costi della politica, poiché si rendeva conto che a un Paese costretto a subire l’arroganza della cosiddetta casta non si poteva chiedere di svenarsi senza prima avere tagliato un po’ le unghie ai rapaci in auto blu.
Non parleremo della strombazzata abolizione delle province, poi rinviata alle calende greche (è solo da mezzo secolo che se ne parla), che attribuiamo al suo candore tecnico.
Il fatto è che ciò che resta dell’Italia tramortita dallo spread viene spolpato allegramente da quei plotoni di cavallette fameliche che prosperano indisturbate nei bassifondi dei Palazzi. Ci domandiamo come Lei e il suo governo possiate rimanere insensibili di fronte a quanto, per esempio, sta accadendo alla Regione Lazio, dove gli onesti amministratori guidati dalla proba Polverini con una mano frugano nelle tasche dei cittadini che dovranno pagare ancora di più benzina, bollo auto e Irpef; mentre con l’altra regalano fior di pensioni e di vitalizi ad assessori “esterni” e consiglieri decaduti, senza dimenticare di arrotondarsi le indennità, cosicché lo stipendio di un consigliere arriva a 10 mila euro più diaria mensile più spese di segreteria. 
Caro Presidente, è solo l’esempio più macroscopico e indecente di una casta che ingrassa sulla pelle dei più deboli. Fino a quando saremo costretti a sopportare una tale vergogna, approvata per giunta con tale protervia? Se Lei non ha il potere per intervenire (conosciamo l’obiezione), faccia almeno sentire la sua voce. È così difficile?


22/12/11

Auguri


Viva la coerenza


La crisi non esiste. La crisi esiste però non riguarda l’Italia, quindi nessuna manovra. Faremo la manovra, ce la chiede l’Europa, ma non metteremo le mani nelle tasche degli italiani. Le metteremo solo a chi guadagna oltre 75 mila euro. Cioè, oltre 150 mila. Gli anni della laurea non valgono più per il computo della pensione. Chi ha detto che non valgono più? Ma forse toglieremo la tredicesima agli statali. Calma, ho detto forse. I ticket del ristorante restano garantiti solo a chi lavora più di 8 ore. Non abbiamo intenzione di limitare i ticket. Piuttosto alzeremo la pensione a 65 anni dal 2027. Era già stata alzata? Ok, allora aboliremo i piccoli comuni, ma non le province. Aboliremo le province e ridurremo gli stipendi dei parlamentari immediatamente. Entro marzo una commissione proporrà di ridurre lo stipendio dei parlamentari.
Salve, siamo il nuovo governo. La crisi esiste, è sempre esistita, possibile che non ve ne siate accorti? Dovremo aumentare l’Irpef di 3 punti sopra i 75 mila euro. Ho detto 75 mila? Volevo dire 100 mila. Non toccheremo l’Irpef. Va riaperto il tema dell’energia nucleare, ma sia chiaro: non si riapre il tema dell’energia nucleare. Ridurremo i compensi dei politici. Non tocca al governo ridurre i compensi dei politici. Noi faremo subito le liberalizzazioni. Contiamo di fare presto le liberalizzazioni. Speriamo di fare un giorno le liberalizzazioni. Le frequenze tv all’asta? Non se n’è discusso. Metteremo all’asta le frequenze tv. L’articolo 18 non è intoccabile. Chi ha parlato di toccare l’articolo 18? Ah, bloccheremo le pensioni del ceto medio-basso. E quelle le blocchiamo davvero. E’ una questione di coerenza. (Massimo Gramellini)

21/12/11

Fine del mondo


È il 21 dicembre e il mondo finirà fra un anno: minuto più, minuto meno. Considerato l’anno che ci aspetta, potrebbe essere persino un sollievo. Io la scena la immagino così: un ultrasuono che perfora soltanto gli orecchi dei pigri e dei vigliacchi, i quali per la disperazione corrono a sfracellarsi contro un muro invisibile, osservati con vivo stupore dal resto dell’umanità. Mi resta dunque un anno a disposizione per smettere di essere pigro e vigliacco. Per foderarmi gli orecchi con la cera della passione. Cosa si può fare in un anno che non si è fatto mai? Mi vengono in mente solo fantasie musicali. Ballare un tango con i delfini, addormentarsi sopra un organo a canne suonato dal mare (esiste, è in Croazia), ascoltare a palla in un deserto la canzone più straziante della storia, che per un punkettaro impunito come me rimane «My way» nella versione di Sid Vicious.
Però si possono fare cose altrettanto sfiziose a chilometro zero. Per esempio afferrare il tempo, governarne la fluidità e plasmarla ai nostri scopi. Smettere di lamentarsi, di fare le vittime, di aspettarsi dagli altri la soluzione dei nostri problemi. Diventare adulti. Profondi ma leggeri. Voler bene alle persone a cui si è scelto di voler bene. Leggere Charles Dickens o chi volete voi, purché oltre alla tecnica abbia un’anima, oltre al cinismo un sogno. E le vere profezie dei Maya, per scoprire che il 21 dicembre 2012 non finirà un bel niente, semmai comincerà qualcosa. Qualcosa che sarebbe meglio far cominciare già adesso, anche dentro di noi.
(Massimo Gramellini)



La “roba” di B. e Ringhio-Romani  / Pino Corrias

Il fervore con cui Paolo Romani difende tutti i cancelli che tengono al sicuro la roba del Capo è ammirevole. Corre di qua e di là. Se qualcuno si avvicina alle frequenze che voleva regalare a Mediaset tramite il Beauty contest, il concorso di bellezza, ringhia anche a Natale. Per troppo affanno gli salta il vocabolario e la logica: “Ripartire da zero significa mettere a rischio gli investimenti che gli operatori possono programmare su quelle risorse frequenziali”. Ma se sono così preziose da programmarci investimenti, perché dovrebbero essere cedute gratuitamente dallo Stato che le possiede?
L’ingratitudine verso il suo amato Cavaliere gli ha rovinato la festa per la nomina a “rappresentate personale” del ministro Passera in Afghanistan e Iraq. Cosa c’entri lui, così elegante, tra quelle polveri orientali se lo sono chiesto in molti. Probabile che il ministro voglia spedirlo laggiù per non averlo tra i piedi quando comincerà la festa delle frequenze. Magari facendo sapere ai taliban cosa combinava da giovane con la sua amica Maurizio Paradiso, quando faceva spogliare le casalinghe dentro il tinello della sua Lombardia 7. Era già allora la sua personale versione del Beauty Contest.


20/12/11

Art. 18


In quanto Camusso
“C’è un livello di aggressione nei confronti dei lavoratori e della lavoratrici che, fatto da una donna, stupisce molto”. Si può essere d’accordo o meno con le parole di Susanna Camusso sul ministro Fornero. C’è chi le considera ‘truculente’ e sopra le righe, e chi le sposa in ragione della necessaria difesa dei diritti dei lavoratori.

A ciascuno le sue idee.

Però il riferimento allo stupore che è maggiore in quanto donna è uno scivolone sgradevole e strumentale. Perché il segretario della Cgil, in quanto donna, dovrebbe sapere bene quanto le donne hanno pagato le loro idee per l’appunto in quanto donne. E usare l’argomento quando certe idee non piacciono è rimettere le idee delle donne in una gabbia di genere che la stessa Camusso tante volte avrà penato nella sua storia personale.
Magari sull’articolo 18 la Fornero ha torto marcio. Ma in quanto ministro. Non certo in quanto donna. (Marco Bracconi)

17/12/11

#bagnasco

no ICI, ...no ICI, ...no ICI, ...no ICI, ...no ICI, ...

Forza e coraggio

La manovra colma di tasse che ha tanto deluso il «New York Times» ha un po’ depresso anche noi. L’avremmo voluta più coraggiosa e profonda: i due attributi che cambiano sempre una storia e talvolta la Storia. Cos’aveva e cos’ha da perdere, il professor Monti? Ancora per qualche settimana i partiti saranno ai suoi piedi: deboli, smaniosi di farsi dimenticare e costretti a sottoscrivere qualsiasi ricetta, pur di non essere additati come i responsabili della catastrofe. Una condizione temporanea e irripetibile, che consentirebbe al governo di fare politica sulla testa dei politici e in parte anche degli italiani, impugnando la sciabola dell’emergenza per sradicare privilegi e spalancare finalmente le finestre di un Paese soffocato dalle mille caste che abbiamo visto agitarsi in queste ore.

Siamo un popolo di riformisti immaginari, che si svegliano rivoluzionari ma tornano conservatori all’ora di mettersi a tavola. Il popolo del primo comma. Prendete qualsiasi documento partorito in Italia: non soltanto una legge, basta un regolamento di condominio. L’incipit vi colpirà per la chiarezza espositiva e la precisione dei permessi e dei divieti. Poi però si va a capo, perché da noi si va sempre a capo, e lì cominciano le eccezioni. Ognuna rispettabile, giustificabile, persino auspicabile. Ma il risultato finale sono l’impotenza e l’arbitrio.

Nessuno pretendeva che Monti cambiasse in un mese la testa millenaria degli italiani. Però non sarebbe stato male se fra tanti tecnici il professore si fosse ricordato di inserire al governo un esperto di psicologia. Lo avrebbe aiutato a cogliere gli umori profondi dei suoi concittadini. Che erano sì rassegnati ad aprire il portafogli. Ma chiedevano due cose. Innanzitutto, che prima di loro lo aprissero i politici. Ci si sarebbe accontentati di un segnale: una trattenuta sull’onorevole stipendio o la sua conversione in Buoni del Tesoro. Chi, a destra e a sinistra, avrebbe avuto la faccia tosta di opporsi?
La seconda richiesta era e rimane più impalpabile, ma non meno reale: l’indicazione di un orizzonte. Non basta agitare il fantasma del fallimento: pagate le tasse, altrimenti qui salta tutto. Vero. Ma non si guarisce un depresso con la paura. Con la paura lo si può convincere a compiere un gesto di sopravvivenza, che è poi quello che stiamo facendo. Però per uscire dalle secche del declino serve la speranza in un avvenire che non può essere la restaurazione dello Stato sociale novecentesco che la globalizzazione dei cinesi e dei banchieri ha distrutto per sempre. Dai Monti e dai Passera ci aspettiamo qualcosa di più strategico. Altrimenti sarebbe stato sufficiente ingaggiare una coppia a corto di diottrie come quella che guida Francia e Germania.
Il contribuente ha il dovere di pagare, ma ha anche il diritto di sapere a cosa serviranno i suoi sacrifici. A investire sul potenziamento dell’unica italianità spendibile all’estero - ricerca, agricoltura, artigianato, turismo, cultura -, oppure a tappare le falle di bilancio che la recessione e il killeraggio dei mercati si incaricheranno di riaprire fra sei mesi?
Bisogna scegliere, bisogna osare. Questo non è più il tempo dei rimpianti e delle recriminazioni. È il tempo della forza e del coraggio. Vale per il governo, per le imprese, per gli analisti che analizzano e non azzardano mai soluzioni. Vale per tutti noi che ci aggiriamo fra i vicoli della crisi come pugili suonati, digrignando i denti in faccia al mondo che cambia, invece di guardarlo negli occhi per capire se possiamo ancora farcelo amico. (Massimo Gramellini)

16/12/11

La lobby che manca



La battuta dell’anno l’ho sentita per strada ieri: «Povero Monti, da commissario europeo fermò Bill Gates e qui non riesce neanche a liberalizzare le farmacie». Dov’è la battuta? Che a farla era un tassista. Ebbene sì, in questo Paese dove tutti, dai farmacisti ai tassisti (per tacere dei papaveri ministeriali a difesa del doppio stipendio), hanno un nume tutelare in Parlamento, l’unica categoria rimasta fuori dai pacchi natalizi sono gli ospiti degli ospedali psichiatrici giudiziari. Ai tempi del fascismo si chiamavano manicomi criminali e da allora non è cambiato nulla, solo la targhetta sugli edifici. Napolitano li ha definiti «luoghi indegni di un Paese appena appena civile». E in quel doppio «appena» affiora la pena di chiunque abbia visto il filmato della commissione d’inchiesta: uomini trattati peggio di bestie rognose, legati ai letti con un buco nel mezzo per far scendere l’urina. Seicento di loro non sono pericolosi: uno è finito dentro nel 1992 per aver fatto irruzione in banca con una mano in tasca gridando «questa è una rapina». Fu giudicato incapace di intendere e di volere e mandato in uno di quei centri immondi. E’ ancora lì e chissà quanto ci resterà, perché fino a ieri sera la proposta della commissione Marino di creare veri centri di cura era stata dimenticata in un cassetto dagli estensori del decreto sulle carceri.

Mi rendo conto che i problemi che ci attanagliano sono ben altri: uno per ogni lobby rappresentata in Parlamento. Ma oggi lasciatemi fare il lobbista solitario di quella povera gente che non porta voti a nessuno, soltanto l’eco di una vergogna che ci riguarda tutti. (Massimo Gramellini)

Gli incredibili lumbard


Torna la Lega di lotta non più al governo. Urla, grida, espone cartelli, insulta e fa ostruzionismo nelle aule parlamentari per protestare contro la manovra del governo Monti e la decisione di porre la fiducia sul provvedimento. Decisione dettata unicamente dall’esigenza di evitare proprio l’ostruzionismo lumbard che impedirebbe altrimenti l’approvazione del decreto prima di Natale. E se tutti, dall’Europa ai commentatori dei giornali, hanno ricordato a Monti che bisogna fare in fretta, forse è il caso di ricordare al Carroccio che solo fino a ieri erano gli alleati principali e fidati di un governo che è ricorso alla fiducia più di cinquanta volte in tre anni, utilizzando questo strumento praticamente per tutte le manovre e tutti i provvedimenti cruciali e a volte anche per quelli meno rilevanti. Certo le misure proposte dal governo dei Professori non sono facilmente digeribili e nonostante le modifiche introdotte due giorni fa su casa e pensioni che hanno alzato le tutele per i ceti più deboli, restano dubbi e lacune.E non è facile il compito di quei partiti che oggi sono chiamati a sostenere questa manovra in Parlamento e che domani dovranno presentarsi agli elettori. Era stato più facile per la Lega stringere il patto di ferro col magnate Berlusconi, vincere anche grazie a lui le elezioni del 2008 e insediarsi a palazzo Chigi per varare subito l’abolizione dell’Ici e il disegno di legge sulla sicurezza. Ve lo ricordate? Quello che aveva introdotto le famigerate ronde, tanto strombazzate dai lumbard e rapidissimamente svanite tra le nebbie della Padania. Per poi pagare dazio subito dopo sostenendo quel lodo Alfano che avrebbe dovuto mettere al riparo il Cavaliere da ogni seccatura giudiziaria. E’ andata avanti così per tre anni. Coi lumbard pronti a votare tutte le leggi ad personam pretese da Silvio, per poi purificarsi con l’acqua del Po. Pronti a proteggere tutti i parlamentari del Pdl inseguiti dalla giustizia (ma adesso, guarda caso, il Carroccio vota a favore dell’arresto di Cosentino). Pronti ad approvare senza un fiato tutte le manovre di Tremonti (spalleggiato spesso più da loro che dal Pdl), anche se poi per distrarre l’attenzione Bossi si esibiva col dito medio e la pernacchia. E nel conto bisogna metterci anche i cinque anni precedenti di governo Berlusconi-Bossi. Il brillantissimo risultato è sotto gli occhi di tutti. E ora la Lega vorrebbe anche lucrare sul disastro che ha contribuito a produrre per recuperare consensi nelle urne. Con molta furbizia ma nessuna credibilità. (Lavinia Rivara)

14/12/11

Tagli su commissione



In Italia il modo più sicuro di non fare una cosa è istituire una commissione. Quando l’estate scorsa cominciarono le operazioni di tosatura della cittadinanza, il governo Bandana intuì che bisognava offrire un sedativo alle pecorelle smagrite. Non la riduzione immediata dello stipendio dei politici (e che, siamo matti?) ma la promessa di tagli futuri. Per uniformare l’onorevole paga ai livelli europei sarebbero bastati cinque minuti: il tempo di consultare le tabelle preparate dagli uffici della Camera. Perciò si ritenne molto più utile affidare l’arduo compito a un consesso di esperti guidato dal presidente dell’Istat.

In quattro mesi la commissione Giovannini si è riunita tre volte. La prima volta per stilare una lista dei parlamenti europei a cui ispirarsi. La seconda per affidare l’indagine conoscitiva alle ambasciate italiane, anziché a un bimbo di 6 anni che avrebbe trovato i dati su Internet in un clic. La terza, si legge sul sito del governo, per un «report sullo stato di avanzamento delle attività»: immagino che ogni ambasciatore dovrà intervistare personalmente tutti i deputati del Paese in cui abita, chiedendo loro la dichiarazione dei redditi e gli scontrini del ristorante.

Nel frattempo l’euro andava a rotoli, lo spread si impennava, il governo Bandana cedeva al governo Loden, le tasse salivano, le pensioni scendevano e i cittadini si imbufalivano. Insensibile a questi accidenti della vita, la commissione proseguiva inesorabile. Il suo responso, atteso per marzo, potrebbe persino essere anticipato a gennaio. Non si sa ancora di quale anno. (Massimo Gramellini)

13/12/11

Un balengo


1 a 0 per la casta


Mario Monti rischia di perdere la partita dei tagli alla casta. La riforma che abolisce le inutili giunte provinciali rischia di impantanarsi nelle secche delle Camere, anche se proprio stamane un emendamento del governo ne fissa la morte al 31 marzo 2013. Lecito dubitare che andrà veramente così. L’altra sfida, sul taglio degli stipendi dei parlamentari (da 15 mila ad almeno 10mila: almeno), al momento l’han vinta i deputati e senatori: poco fa un emendamento del governo ha stabilito che saranno le Camere, e non il governo, a provvedere al taglio delle indennità. La prerogativa dei parlamentari è salva. Evviva. Domanda: la vedremo mai questa sforbiciata?

Piccolo riassunto. È al lavoro da settembre una commissione, istituita da Tremonti e presieduta dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini, che sta svolgendo uno studio sui costi della politica nei sei principali Paesi europei al fine di equiparare le indennità italiane alla media del Vecchio Continente. Ora, spazientito di fronte alle lungaggini di questa commissione, il governo Monti aveva approvato una norma – il comma 7 dell’articolo 23 del decreto sulla manovra – con la quale provvedeva autonomamente al taglio delle indennità se i risultati della commissione non fossero giunti entro il 31 dicembre. Apriti cielo! I parlamentari erano insorti: violata l’autonomia di Camera e Senato! Il governo non può intervenire su materie che sono di esclusiva competenza del Parlamento! Siamo noi a dover decidere quanto e come tagliare. Beh, per il momento l’hanno spuntata loro: 1 a 0. Spetterà infatti al Parlamento provvedere all’autoriduzione. Con quali tempi non è dato sapere.

Saprà la casta più ricca d’Europa (nessuno ha 952 parlamentari: in Danimarca se ne fanno bastare 179, in Spagna vivono benissimo con 558; nessuno prende 140mila euro lordi: in Germania arrivano a 91 mila euro, in Gran Bretagna a 76mila) mettersi finalmente a dieta? Voi ci credete? (Concetto Vecchio)

Mastro Minzo



Epurazioni, puzzette di neonati e spese folli



Non sarà facile dimenticare Augusto Minzolini e rinunciare al gioco quotidiano: Tg 1, scopri dov’è nascosta la notizia. Un dramma. Anche per le mamme, più sole senza i suoi consigli: “Come evitare le puzzette dei neonati. Sì, massaggi addominali; no, tisane di mirtilli. Compra il vasettino migliore per la pupù”. L’associazione cani di piccola e media taglia protesta: addio “decalogo del bravo padrone”. I camerieri minacciano lo sciopero, orfani di un insegnamento istruttivo e assiduo: “Diventa un perfetto maggiordomo. Coltello a destra, forchetta a sinistra”. È un buon maestro chi riesce a trasmettere i segreti del mestiere.

Augusto Minzolini ha censurato pacchi interi di notizie, sudore vero, per guadagnarsi il titolo emerito di “direttorissimo”, coniato con mirabile ironia da Silvio Berlusconi, grande elettore e grande protettore. In 30 mesi di guida al Tg 1, spesso in vacanza a spese di viale Mazzini a volte in ufficio a Saxa Rubra, solitario in trincea, Minzolini non ha abbandonato né le navi da crociera né il vascello berlusconiano. Cade in battaglia con la bandiera già ammainata: “Fin quando c’è Berlusconi a Palazzo Chigi, io resto al Tg 1”, disse un giorno di rara sincerità per poi smentire. Non s’aspettava di improvvisare lezioni di giurisprudenza per giustificare la sentenza di prescrizione di David Mills, virtuosamente scambiata con assoluzione: “Ancora co’ ‘ sta storia. Vi ripeto, vi spiego; sono la stessa cosa”. Non fu mai troppo convincente. Come nei giorni di orgoglio socialista, quelli sì emozionanti per i Cicchitto e i Sacconi: “Bettino Craxi statista, capro espiatorio di un sistema”. La scomparsa di fatti e notizie ha espulso i telespettatori e la pubblicità durante i suoi due anni e mezzo nel servizio pubblico. Addio panino e pastone per metterci dentro governo, maggioranza e opposizione.

Il suo telegiornale era un surgelato con prodotti scaduti, un misto di Gasparri, Bonaiuti e La Russa avariati che promettevano riforme e scacciavano i comunisti. Ha seppellito con freddezza le cene eleganti del Cavaliere senza mai citare Patrizia D’Addario, Ruby Rubacuori, bunga bunga, statuetta di Priapo: “Non faccio gossip”. Ha giurato di raccontare la “vita reale”, di solito confusa con la sua vita surreale: in giro per il mondo con la carta di credito aziendale, affezionato cliente di alberghi a cinque stelle fra Dubai, Parigi, Praga, Londra, Palma di Maiorca e Marrakech. Non per vacanze, sia chiaro: “Viaggi di lavoro, incontri con fonti”. E che fonti, di classe e appetito per pranzi e cene da salasso. Impegnato a gestire relazioni e divertimenti, Minzolini ha lasciato la redazione a un gruppo di giornalisti aderenti al potere di B. o di fresca conversione. I più intelligenti. Quelli più realisti del re che aiutano il capo a eliminare i nemici senza sacrificare i fine settimana: Busi, Ferrario, De Strobel.

Minzolini ha recitato monologhi a ripetizioni, editoriali telecomandati che seguivano l’agenda del Cavaliere. Incendi a Napoli per i rifiuti? No, la città è pulita e ordinata, sembra Stoccolma. Telefonate imbarazzanti fra Berlusconi e Lavitola? Intercettazioni gogna mediatica, lapidazione inaccettabile. Mercato di deputati a Montecitorio? No, si dice responsabili. L’Aquila è morta? No, è un capolavoro di efficienza. Per anni, troppo tempo, Minzolini ha mostrato un’Italia che esiste soltanto nei suoi centri benessere. Giornaliste cotonate che apprezzano una Ferrari cabriole perché mantiene la permanente. Code ai ristoranti, resse al supermercato, traffico in autostrada, caldo ad agosto, freddo a dicembre.

Già, la rubrica meteo. L’unico momento di verità, assieme ai numeri del superenalotto. Adesso che un sobrio oscurantismo s’abbatte sul telegiornale nazionale, avremo nostalgia del perfetto turista a Parigi che s’incartava su accenti francesi e riferimenti storici liceali: “Non accetto che masanielli improvvisati o Robespierre (detto Robespiè, ndr) da strapazzo si ergano a giudici inappellabili su ciò che è buona informazione”. La sua informazione è inodore perché assente. E non c’entra nulla con le puzzette di un bebè. (Carlo Tecce)

12/12/11

I cerchi dell'impotenza


E’ l’incubo dei tre cerchi concentrici. Primo cerchio: la famiglia. Un padre e una madre che nella Torino del 2011 costringono la figlia sedicenne a sottoporsi al controllo mensile di verginità. Non stupisce che una ragazza cresciuta in quell’ambientino faccia sesso col fidanzato e poi si inventi di essere stata violentata dai rom, disegnati apposta - da sempre - per il ruolo di capri espiatori. Ed ecco il secondo cerchio: la comunità. Una comunità povera di soldi e di sogni, in preda a un’arrabbiatura perenne e senza anticorpi. La falsa notizia dello stupro si infiltra nel quartiere e scatena gli istinti primordiali. L’emotività dell’orda che vuole vendicare l’affronto con la violenza. Il vendicatore non si sente un razzista, ma un giustiziere. Nel deserto di cultura, anche popolare, l’ultima ideologia che sopravvive è quella dell’ultrà. Il terzo cerchio, il più grande e il più grave: la politica. Dovrebbe mediare gli scontri e trovare le soluzioni. Invece non fa nulla, se non partecipare al piagnisteo collettivo. Qui è simboleggiata dalla dirigente del Pd locale che marcia in corteo con la comunità irritata dalla vicinanza del campo rom. Marcia, cioè, contro se stessa, visto che il suo partito governa Torino da decenni senza aver mai affrontato seriamente la questione, limitandosi a spostarla ogni volta un po’ più in là.

Famiglia, comunità, politica. Tre cerchi concentrici, accomunati dalla stessa impotenza. Per spezzare l’incantesimo esiste una sola formula: più cultura nelle case, più calore nei quartieri, più coraggio nei palazzi del potere. (Massimo Gramellini)

10/12/11

Sogni grandi


Nei giorni dispari mi sveglio polemico, ma in quelli pari, i miei preferiti, prevale il desiderio di credere in qualcosa. Oggi è un giorno pari e lo sguardo scorre al vertice europeo, in cerca di un guizzo che dovrebbe esserci e non c’è. Non c’è anzitutto nel cuore di chi governa. Ma li avete visti, i leader di questo continente che ha guidato il mondo per millenni? Anche i migliori sono burocrati persi fra i loro numeri e le loro micragne di bottega. Nessuna visione, nessuna ribellione a un destino che sembra segnato: la perdita di senso e quindi di benessere. Sembrano medici alle prese con un malato di cui al massimo si può ritardare la fine. Aveva dunque ragione Montanelli quando negli Anni Cinquanta sosteneva che l’Europa era un’unione di cadaveri e che a volerla erano stati De Gasperi, Adenauer e Schuman, tre cristiani più interessati al destino dei morti che a quello dei vivi?
Non erano affatto morti quegli statisti che sapevano fare sogni grandi, a differenza dei loro pallidi successori. E non sono morti i tanti ventenni che oggi girano l’Europa col progetto Erasmus, e parlano tre lingue, e si sentono a casa a Valencia come a Berlino. Uniti, uniti davvero, potremmo ancora sentire il vento della storia soffiarci alle spalle e non contro. Una civiltà va in malora solo quando smette di credere alla propria fortuna. Abbiamo la cultura, la sapienza, il talento e la faccia tosta per sguazzare nel mondo che cambia. Ci manca una cosina da niente: una classe dirigente che alzi finalmente la testa da tutti quei tabulati per indicarci un traguardo comune. (Massimo Gramellini)

08/12/11


Il decreto Petrolini 
Massimo Gramellini

La manovracadabra dei bocconiani stimola alcuni punti interrogativi poco sobri, di cui mi scuso anticipatamente. Quante lauree in originalità economica bisogna prendere per avere l’ideona di tappare i buchi dello Stato aumentando la benzina?

Perché in tutto il mondo i diritti televisivi costano miliardi, mentre in Italia le frequenze sono come i biglietti dei vip: omaggio?

A quale titolo il bar di un oratorio continua a non pagare l'Ici? Forse distribuisce cocacola santa?
Come mai neppure i bocconiani ci permetteranno di scaricare la fattura dell’idraulico, affinché noi ci si senta finalmente motivati a pretenderla?
La vecchina che va nella sede più vicina del sindacato a lamentarsi che le hanno congelato la pensione e raddoppiato l'imposta sulla casa, è al corrente che per quella sede il sindacato non paga un euro d’Ici?
L’Europa ci ha chiesto di alzare l’età pensionabile e noi lo abbiamo fatto. Però l’Europa ci ha anche chiesto di ridurre i privilegi di tutte le caste: perché non lo abbiamo fatto?
Un tetto di 5000 euro alle pensioni d’oro di politici e alti funzionari pubblici quante pensioni di piombo avrebbe permesso di salvare?
Com’è che diceva il padre di tutti i fiorelli, Ettore Petrolini?
Ecco, qui almeno ho la risposta: «Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti».

07/12/11

D-ici-amolo!

"Perchè io sono io, e voi non siete un cazzo!"


Il Vaticano non paga Ici, Irpef, Ires, Imu, Tasse immobiliari e doganali, ma neanche gas, acqua e fogne... è tutto a carico dei contribuenti italiani. Possiede quasi il 20% del patrimonio immobiliare italiano e con l'8 per mille toglie quasi 1 miliardo di euro all'anno all'Italia... 

Spaceballs



Contrariamente alle previsioni più cupe, «Porta a porta» non è riuscita a trasformare Monti in un guitto e neanche in un plastico. È stato Monti a trasformare Vespa in colui che era prima delle infatuazioni barbariche: un giornalista democristiano. Davanti all’esordiente seduto sulla poltrona dei famosi, l’intervistatore non era in piedi né in ginocchio, ma mollemente arcuato come ai tempi di Andreotti e Forlani. Solo che stavolta davanti a lui non c’era un democristiano italiano, ma uno tedesco. Quindi cattivissimo e capace di punte di autentica crudeltà. Appena Vespa lo ha ringraziato per aver scelto la sua trasmissione, ha risposto: «Io non sono qui per far piacere a lei». E quando il frequentatore di caste romane ha alluso a se stesso con l’espressione «noi uomini della strada» (l’unica battuta della serata) e chiesto delucidazioni sulle aliquote più alte, Monti lo ha subito restituito alla sua condizione di privilegiato: «Vedo che lei è abituato a ragionare di queste cifre».
Onore alla perfidia di Monti, ma anche ai riflessi di Vespa: mentre i comici sono rimasti fermi a Berlusconi, lui è già tornato a Tribuna Politica. Simbolo di un Paese immobile che quando decide di cambiare va indietro.


06/12/11

Macello


Equità


(s.f.) Contrazione di E-qui-taglio. Diffusissima fra i cavalli e le altre bestie da tiro, come i muli, i buoi e i lavoratori con almeno 42 anni di contributi. Ex moglie dell’ex ministro Tremonti, con il quale ha avuto una figlia: Equitalia.
Esempio di equità: andare in pensione alla stessa età dei tedeschi senza però avere mai percepito gli stipendi francamente esosi dei tedeschi. Altro caso tipico di equità è il raddoppio dell’Ici alle vedove che vivono in case fin troppo grandi, per contribuire al fondo di solidarietà «Mansarde di Stato con vista panoramica abitate dai parlamentari a loro insaputa».
Aggettivo: equo. Nel sentire comune è equo che paghino gli altri, mentre è iniquo che paghi io. La saga «Lamento dell’Equo» di Evasor Multiplex racconta le avventure dei possessori di yacht in nero, che la tassa sui posti-barca costringerà a tentare un attracco di fortuna in qualche isolotto dei mari del Sud, dopo una sosta nei centri di raccolta svizzeri per fare il pieno di banconote non scudabili e difficilmente scusabili. Sinonimi: torna qua, hai da pagà, ma va là. Frasi celebri: «Rogito, equo suv» (pronunciata dal filosofo Cartesio, già ministro tecnico nel governo Ciampi, alla notizia della rivalutazione degli estimi catastali).
Curiosità: dopo le lacrime della ministra Elsa Fornero, alla manovra «Lacrime e Sangue» verrà presto aggiunto il sangue dei pensionati. Per equità. (Massimo Gramellini)

03/12/11



Illustrare la manovra da Vespa?! Ma cosa è saltato in mente a Mario Monti? Chiariamo subito: il gestore di Porta a Porta fa il suo mestiere ed è un fatto che da quando esiste il tragico dlin-dlon non c’è presidente del Consiglio di destra, sinistra o centro che non si sia accomodato dove si accomodarono, per dire, la signora Franzoni da Cogne e la trans Natalie. Ma, soprattutto, dove in una notte del 2001 Silvio Berlusconi firmò sulla scrivania di ciliegio la superpatacca del contratto con gli italiani. Una scena incancellabile, l’inizio dell’horror che ci ha condotti al presente disastro.
E, se pure il nuovo premier avesse scelto Floris o Fazio, lo sbalordimento non sarebbe minore. Il tracollo della nostra economia, gli annunci di sacrifici “impressionanti”, il Paese con il fiato sospeso e la figura stessa di Monti, il tecnico competente e misurato venuto a salvarci dopo la bancarotta della politica, avrebbero suggerito una comunicazione autorevole e consona alla gravità del momento. Nelle grandi democrazie, i capi di governo parlano alla nazione a reti unificate, seduti nel loro studio e con accanto la bandiera. Non risulta che Cameron, Sarkozy o la Merkel corrano a illustrare le loro decisioni nel primo talk show, anzi se ne guardano bene. Se Monti sente la necessità di uscire dai formalismi per confrontarsi subito con l’opinione pubblica, anziché rispondere a Vespa e ai tre immancabili direttori, perché non anticipa la tradizionale conferenza stampa di fine anno con tutte le testate giornalistiche?
Che un danno d’immagine ci sia già è dimostrato dalla precipitosa convocazione delle Camere per lunedì seguita alle proteste dei partiti (tranne il Pd dei Tafazzi, s’intende) increduli all’annuncio che sarebbero stati informati sulla manovra dopo il simpatico maggiordomo di via Teulada. Qualcosa dovevamo cominciare a temere quando, dopo il giuramento al Quirinale, il ministro dell’Ambiente si precipitò a Un giorno da pecora. Tecnici o politici, smodati o sobri, possibile che non cambi mai nulla?

02/12/11



Ci sono fine settimana che si rimanda a dopodomani. Altri che si molla tutto perché fino a venerdì è stato un delirio. Altri ancora che mezza Italia in gita scacciapensieri.
E poi ci sono i fine settimana come questo. Quelli che aspetti con curiosità e pure un po’ di ansia. Quelli che il lunedì che arriva è uno di quei giorni che non dimentichi. Uno di quelli che si capiscono tante cose.
Tra le cose che si capiranno è quanto partiti e sindacati stiano, in queste ore, facendo ammuina. Vale a dire in che misura le richieste al governo Monti, tirato per la giacchetta da svariate parti, siano pressioni pro forma per rassicurare i propri iscritti ed elettori. Oppure una giusta e ferma invocazione di equità nei sacrifici prossimi venturi.
L’impressione è che la crisi finanziaria sia tale da non permettere – se il governo sarà equilibrato – strappi degni di nota. Più l’Italia resta debole, più il professore resta forte. Infondo è lì per questo.
Ma mai dire mai, nella vita.
Soprattutto in questo Paese, dove cinquant’anni di democrazia bloccata e poi vent’anni di populismo hanno abituato tutti a considerare uno zero virgola in più nelle urne più importante di quasi due miliardi di debito pubblico.
L’impazzimento, con questo Parlamento figlio del Porcellum, è sempre dietro l’angolo.