Troppo facile dire che dopo Silvio era scontato venisse giù anche il
simbolo dell’informazione codina e dissimulata. Troppo facile dire che a
qualcuno il teatrino di Emilio Fede finirà per mancare, perché il
giornalismo declinato in varietà l’ha inventato lui, e c’era spesso da
ridere. Troppo facile, anche, rigirare il dito nelle debolezze
dell’uomo, che l’uomo stesso ha sempre usato per ritagliarsi attorno in
una cornice di furbo auto-paternalismo.
Troppo facile dire delle meteorite e delle bandierine, dei Lele Mora e
dei comunisti cattivi, della sottocultura che il Tg4 ha
sistematicamente, pazientemente, colpevolmente inoculato nei suoi
(affezionati, va detto) telespettatori.
Troppo facile dire che aveva fatto nel giornalismo televisivo quello
che Berlusconi ha fatto in politica: populismo nei contenuti e
personalismo nelle forme. E troppo facile, infine, dire che come in ogni
autentico (e interessato) amor fou l’amato era diventato per il
nostro prima proiezione e poi definitiva mimesi magica.
Meno facile, invece, è capire ciò che resterà tra un po’ di tempo di
un personaggio che è stato odiato ma anche amato, e far finta di non
saperlo significa non sapere che Italia è stata ed è ancora quella in
cui viviamo.
Anche in questo caso, vale quel che vale per l’amato Silvio. Che alla
lunga rischia di essere ricordato per tutte le volte che ci ha fatto
ridere, magari giocando con la propria stessa ridicolaggine. E non per
tutte le volte che ci ha fatto piangere, e indignare. (Marco Bracconi)
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