Lavorano tutti per Grillo, ormai. Per Grillo o per qualcosa di molto
peggio, perché dopo giornate come quella di ieri risulta ancora più
difficile (anche se indispensabile) separare la politica da «questa»
politica e la democrazia da «questi» partiti. Cominciamo dalla Regione
Lombardia, dove non è passata la mozione di sfiducia contro il
presidente Formigoni. L’esito era abbastanza prevedibile, avendo il
centrodestra la maggioranza in Consiglio. Quel che non era prevedibile
neanche in una gag di Crozza o in un incubo di Bersani era che al
momento del voto il primo firmatario della mozione contro gli yacht di
Formigoni fosse assente perché impegnato a prendere il sole su una
spiaggia greca. Si chiama Luca Gaffuri, un cognome che è già un indizio.
Hanno fatto apposta a mettere la mozione ai voti mentre ero in vacanza,
si è difeso maldestramente il gaffeur, capogruppo del Partito
democratico. E sì che ne avrebbe avuto di tempo per esplorare la Grecia:
in yacht, in motoscafo e persino in gommone. Ad aprile il Consiglio
regionale lombardo, stremato dagli straordinari della Minetti e del
Trota, si era infatti autoelargito un ponte di tre settimane.
Al Senato di Roma, intanto, andava in scena il salvataggio del molto
onorevole senatore Sergio De Gregorio, già fondatore dell’associazione
Italiani nel Mondo (poveri italiani, ma soprattutto povero mondo),
imputato di bazzecole quali associazione a delinquere, truffa e false
fatturazioni per 23 milioni di euro (tutti soldi nostri, tranquilli)
nell’inchiesta sui fondi pubblici versati al cosiddetto giornale
«Avanti!» di Valter Lavitola. I giudici avevano chiesto l’arresto di De
Gregorio e la giunta per le immunità, schiacciata dall’evidenza dei
fatti, si era dichiarata per una volta d’accordo. Ma nel segreto
dell’urna centosessantanove senatori hanno votato contro il
trasferimento in carcere del sant’uomo. I berluscones sodali suoi,
certamente. Ma anche altri che a parole lo avevano criticato. Chi? Si
sospetta di qualche leghista, di qualche terzopolista e persino di
qualche democratico smanioso di ricambiare certi favori fatti in passato
(ricordate il salvataggio di Tedesco?) o fattibili in futuro: incombe
il verdetto del Parlamento sul transito alle patrie galere di un altro
specchiato galantuomo, il tesoriere Lusi.
Sulla torta quotidiana della Casta mancava soltanto la ciliegiona e a
metterla sono stati i pasticcieri dei tre partiti maggiori, che hanno
colto l’occasione delle nomine delle Autorità (Comunicazioni e Privacy)
per dare vita a una famelica e scientifica spartizione di posti.
L’aspetto insopportabilmente ipocrita della faccenda è che per darsi un
tono i partiti avevano sollecitato l’invio dei «curricula» di alcuni fra
i giuristi più prestigiosi, Zagrebelsky su tutti. Naturalmente nessuno
li ha presi in considerazione. Ne hanno fatto carta da cesso, ha
sintetizzato Di Pietro con la consueta brutalità, supponendo
ottimisticamente che li avessero almeno srotolati. Più probabile invece
che giacciano intonsi in qualche cassetto. I nomi giusti erano già stati
scelti dai capibastone nelle segrete stanze. Alle Comunicazioni vanno
amici fidati e benissimo pagati, che entro sessanta giorni dovranno
decidere se assegnare gratuitamente o meno le frequenze televisive a chi
li ha nominati. Mentre a occuparsi di privacy arrivano la moglie di
Bruno Vespa e il democratico Antonello Soro, politico serio e perbene,
ma la cui competenza in materia di informazione e informatica risulta
assai opinabile, trattandosi di un medico specializzato in dermatologia.
Chissà perché fanno così. Forse pensano che i cittadini siano stupidi e
che a tenerli buoni basti il taglio ipotetico di qualche auto blu,
mentre loro vanno avanti ad autoassolversi e lottizzare. Ma è più
probabile che non possano fare altrimenti e che, con l’avvicinarsi del
giudizio elettorale, la paura si associ al menefreghismo nell’ispirare
comportamenti suicidi. Quello a cui stiamo assistendo impotenti è il
«cupio dissolvi» di una generazione politica. (Massimo Gramellini)
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